venerdì 10 giugno 2011

Ierogamia



La Dea Uccello ha il seno grande,
il becco di civetta e il collo
di canna di palude.

Incisi sul ventre linee d’acqua e serpenti attorcigliati.

I tamburi scendono dal dorso inclinato della terra
come scrosci di fango versati dal temporale nei pendii
mentre lenta la Dea
incede in bellezza
e la vita germoglia sotto i suoi piedi.

Gli alberi si levano lenti per raggiungerla,
tendono al grembo scuro come i cervi,
i muscoli inquieti
dentro le cosce brune.

Vedo le ombre inseguirsi
nell’odore della pioggia intrappolata nei tronchi,
braccia che si allacciano e si sciolgono in vapori notturni,
respiri trattenuti,
risate verdi quando le gambe
inarcate
raccolgono gli umori del mattino.

E più nessuno
ha orecchie per udire
che non siano polverosa argilla
che si frantuma in grandine prima di toccare il suolo
e i rintocchi del ghiaccio sono il sangue che scorre
lontano dal cuore e dal cervello,
che esce dalle conche del sesso
per bere nella bocca della terra.

La Luna del Raccolto sorge lenta,
la coda di galassia è un velo scuro,
le lucciole
stanno
dove la sabbia si mischia con gli arbusti e con l’acqua
dolce
che di notte scalda
i passi del mattino.

Gli occhi della triplice Signora versano
fuochi di lanterna sullo specchio
increspato
che sparge il suo seme sulla riva
concava
dove corpi trascorrenti attendono
i loro abitanti immortali.

Si fermano le danze degli alberi
in spirali viola e melograni.
Sostano le lucciole,
la sabbia e il vento.
L’acqua sussulta appena
mentre l’ultima onda raggiunge
calda
la riva scossa
e il Tempo
sprofonda nell’orgasmo
del vuoto del mondo
un momento
sempre

per poi ricominciare.


mercoledì 8 giugno 2011

Ansuz



Le dita scelgono senza occhi ciò che lo spirito dalle lunghe braccia vuole.

Sono arrivati i violini. Non chiediamo loro di sciogliere i lacci di rame che ci stringono il collo e i fianchi: sono le bende a farci sacerdoti. Ricordo la giovane cieca dai capelli gialli sacrificata ai margini della torbiera. Fu un dono che gli dèi non apprezzarono. L'offerta è preferita viva, piena di danze, canti, pene d'amore e di sorrisi. Non fu apprezzata morta dentro la palude, coperta di graticci come un mantello di sposa. Perciò gli uomini furono dimenticati.
Oltre ai violini, scendono dalla montagna nuvole basse, pesanti di pioggia irresoluta, e con fatica scavalcano gli alberi dalle chiome panciute quasi estive che si stendono attraverso il Solstizio e sono sentieri verdi tra i mondi e le stagioni, strade in cui perdersi con la grazia svagata delle lucciole per mutare allitterando con il Tempo in labiali ed occlusive come baci.

Grigio d'ombra chiara. Non desidero parlare al tuo posto nell'assemblea di coloro che accarezzano i fili d'erba chiedendo consiglio: io incido rune su bacchette di faggio e di nocciolo e mi lascio spettinare dai rami penduli, pungenti come falci di Luna quando il Sole tramonta e Lei è lì, trasparente nella luce cedevole del giorno, e non lo può toccare e inappagata trafigge il sudario del cielo generando stelle indispettite.

Piccola Vita, parli di numerosi Altrove e non ti voglio distrarre - mi piace la tua voce sussurrante e ventosa. Capisco il tuo dondolare sul limite dei temporali perché siano in pochi a raccoglierti, così porto con me ciotole di creta cotte nelle buche di terra grassa e soffocate con la paglia dell'anno nuovo perché tu possa caderci dentro aggrappata ai tuoi segreti, almeno alcuni. Poi sarai Tu a condurmi nella vasta sala illuminata dai fuochi di maggio da cui sento giungere l'eco smorzato di un banchetto, mi verserai da bere e siederemo vicine come vecchie amiche, a raccontarci i fili silenziosi tessuti dagli anni, un po' ubriache.

Un piccolo messaggero maltrattato scende a scuotere le ali trasparenti accanto ai miei polsi. Chiede miele per il viaggio di ritorno. Ne ho di tarassaco odoroso ed è felice di muovere le zampe filiformi sugli occhi che volgono in cerchio sul passato e sul futuro. Riposa un po', se vuoi. Ho mani morbide come lenzuola e calde come il giorno che decisi di guardare oltre lo sguardo del mondo e il mondo si aprì. Vedo lontano. Non mi disturbi. Racconta.


giovedì 2 giugno 2011

Fusione



Ti aspetterò nella morbida sonnolenza del crepuscolo
e farò scorrere le mie dita sulla tua pelle d'ambra trasparente
per conoscerti,
per incidere il mio nome sui tuoi fianchi.

Viandante silenzioso,
cammini nella sera ombrosa raccogliendo steli d'eliotropio,
adorni il mio letto di bacche sanguinanti
e io ti accolgo come accolgo le onde,
nel buio che danza tra le tende bianche della tua stanza.



Sorgenti



Lasciami intingere le dita nel giorno che si scioglie:
ne ho sorseggiato un po’ tornando verso casa.
Tango acido.
Gli occhi sceglievano opportuni interstizi tra gli alberi
per deporre le loro uova di vetro luminoso.
Era bella la sera e umida.
I boschi si gonfiavano come seni di ninfe
stillanti assenzio,
tre faggi assopiti reggevano
il piano del cielo.
La venditrice di violette attraversa la strada
per rientrare tra le pagine di Dickens con un sigaro cubano tra le dita
mentre le donne dai capelli raccolti
brindano alla fine del giorno con un aperitivo leggero,
sanguinante.
Non riesco a ricordare dove ho nascosto le scarpe da ballo.
Si avvicina una civetta con rumore di pioggia tra le ali.
Scrivi una canzone per me, mentre attraversi i fossi sui torrenti:
parole a precipizio come l’acqua
e come l’acqua battenti sulle vene dei polsi ancora accesi
nel palpito in quattro quarti
e mezzo quarto di luna.
Bevi dalla mia bocca mentre ascolti.
Tango silvestre.
Una goccia.
Labbra silvestri.
La tua.
Ti assaggio lentamente,
poi il giorno finisce.



PaganaMente



Si aggrappano al desiderio lenzuola di lino.
Passioni crocifisse sul filo da bucato.
Deposizioni convulse –
Ancora no! Io vivo!
E tu lontano.

Non mi spiego questo amore trasversale
nell’aridità sconosciuta delle tempeste boscose,
questo mare turbolento,
i faggi fallout rosso damasco,
il riverbero bianco sulle rocce,
violento
come il lampo che lacera la notte,
stanotte.

Non perdonarmi, dio senza voce,
dio dalle agili mani trasparenti,
dio di carne e carnefice,
dio che voglio amare
io,
Dafne dai rami spogli e morbidi
e sangue rosso damasco come i faggi,
ninfa che non fugge in foglie odorose
da te
ma rimane e tende il suo corpo di donna –

Ecco.
Io ti sto amando in parole.