sabato 20 agosto 2011

Omphalos



Non tu, che non conosci il sapore verdeumido dei muschi quando ci affondi il viso come nel grembo di una donna. Non puoi parlare d'acqua se non sei acqua che sa il colore della terra mentre sgorga accarezzando radici attorcigliate e ha milioni di dita morbide per milioni di steli di muschi seduti su brandelli fertili tra roccia e roccia. Non parlare di noi, se non conosci. Né di me che siedo come rana sacra con i piedi d'ocra scura col ventre immerso, le braccia nell'erba appesantita e il capo rivolto alla cima degli alberi che scuotono ogni respiro vapore trascorrente che va a posarsi piano sulla schiena inarcata dei noccioli e sulla mia.

I cimiteri sono pieni di pietre itifalliche a forma di croce che è un fallo interrato per metà, non è una spada. Ma non puoi vederlo se non è tuo il grande ventre che si schiude come una grotta, un ipogeo per processioni di ossa e di serpenti. Ora parlo per me e per la pioggia.

Ricordo quando la gente uccideva i rospi. Io ero piccola, li vedevo sollevati con la pala e portati via da mio padre che agiva governato da precetti appresi chissà dove, forse nel cuore di coloro che cercano demòni in dèi che non vogliono conoscere o non sanno più, oppure da quel dio infibulatore che passa i secoli a tendere tranelli agli uomini come il cattivo dei fumetti che reclama l'attenzione di un eroe che lo uccida una volta per tutte, ché a vivere così non ne può più. Un miserabile dio afflitto dall'ottusa demenza dei vecchi che hanno trascorso l'esistenza a occludersi le arterie con il grasso degli animali uccisi, un dio con le mani impiastricciate di colla per uccelli. Grottesco col suo vestito mediorientale e i sandali di cuoio quassù, che sarebbe morto di freddo mille volte o di tubercolosi come qualsiasi puttana vittoriana, non di croci falliche a stillare sangue e acqua su terra brulla dalla ferita sbagliata.

Mio padre uccideva i rospi, credo. L'ha sempre fatto lontano dai miei occhi, però, come ogni cosa che non si fa davanti agli occhi dei bambini, che è come dire che è sbagliata, e così io sono cresciuta rana.

Non voglio più parlare per me sola e per la pioggia, ora. Prova ad ascoltarmi tu, che emergi come me dall'erba alta e che ti vedo appena, quando il vento sposta le onde verdi davanti al grigio dell'omphalos che sorge al centro di te.
Ascolta.
Ho parole incise su pietre di telai.


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