mercoledì 30 dicembre 2009

Restless Flora



Sento qualcuno avvicinarsi. Le foglie secche scricchiolano dietro i cespugli che nascondono il sentiero e che nascondono me al sentiero dove qualcuno, forse, sta passando.
Avevo quasi dimenticato di essere morta. Per fortuna sono morta supina, così ho potuto continuare a guardare i rami sopra di me e il volo degli uccelli. Man mano che le foglie si sono diradate ho potuto vedere, talvolta, anche la luna. Sono trascorsi molti giorni – buio-luce-buio – e non ho mai avuto freddo né fame: non ho avuto bisogno di chiedere aiuto. Neppure quando una cornacchia si è posata sulla mia faccia e ha cominciato a mangiucchiarmi l’occhio destro, cavando nutrienti umori da quella piccola sfera bianca e verde di cui un tempo ero tanto orgogliosa, ho sentito la necessità di andarmene da qui: mi restava il sinistro per osservare i rami, gli uccelli e il cadere delle foglie. Ma ora che qualcuno, forse, si avvicina lungo il sentiero che so essere lì ma che non vedo, ora ricordo di essere morta e di non avere voce per gridare – Trovami!
Rami spezzati, foglie secche – è autunno inoltrato. Da quanto tempo sono qui? Indosso un maglioncino di lana a righe grigie e viola e nere: mi stava bene ed era quasi nuovo. Ora è sporco di ciò che di me trasuda dal mio corpo. Probabilmente puzzo. Mi vergogno un po’ a farmi vedere così, ma non posso restare qui in eterno. Non ero sola quando sono morta, c’era qualcuno con me. Ho sentito il calore del mio sangue spandersi dal fianco lacerato; a fiotti densi ha inondato il maglioncino nuovo, poi si è sparso al suolo e l’ha bevuto, avida, la terra. La lama che mi ha trafitto il fegato non è più qui, vorrei sapere dove l’ha portata e chi.
Passi. Sempre più vicini e incerti.
Qualcuno sembra frugare nei cespugli – la lama è lì? Se la trova, poi cercherà anche me: il sangue parla, il sangue è pieno del mio nome.
Lo sento avvicinarsi e fremo come può fremere un cadavere: immobile a scagliare lampi di impazienza dalla mente – qui, vieni qui. C’è odore di muschio umido e di qualcosa che mi sfugge; sopra di me, il cielo si scurisce attraverso i rami quasi spogli. – Mi stai cercando? Ti aspetto. Ti aspettavo, chiunque tu sia, quando ancora non sapevo di volerti incontrare.
La mia memoria è un vuoto appiccicoso da cui penzolano ricordi sbrindellati; carta moschicida che attende che le larve traslucide che zampillano panciute dal mio fianco mettano le ali. In ogni mosca afferrerò un ricordo? Mi basterebbe ricordare una persona e un atto: baratterei la memoria della mia infanzia per il volto e il pensiero di chi mi ha trafitto il fegato con un coltello lungo, lama grossa, e l’ha girato come una chiave affilata nella serratura morbida del mio corpo. Quattro mandate. Cinque. Già alla prima quella mia nuova, oscena bocca spalancata vomitava sangue che andava a sparpagliarsi inutile lontano dalle mie vene.
Scricchiolio di sottobosco autunnale.
Trattengo il respiro o, meglio, irrigidisco l’anima come se stessi trattenendo il respiro. Lui è a un passo da me che brulico di vita non mia.
Fruscii che si allontanano. Il bosco sospira e tace.
Mi viene da piangere e non posso. Vorrei piangere anche solo per questo.


© Laura De Matteis 2009

2 commenti:

Unknown ha detto...

Flora resta finora la mia preferita :) Mary

Laura m.De Matteis ha detto...

Grazie Mary!
La lascio riposare perché aspetto che si calmi l'ondata modaiola dei vampiri, prima di permetterle di andarsene in giro da sola, ma un giorno saprai tutto di lei e della sua storia. Promesso!