mercoledì 8 giugno 2011

Ansuz



Le dita scelgono senza occhi ciò che lo spirito dalle lunghe braccia vuole.

Sono arrivati i violini. Non chiediamo loro di sciogliere i lacci di rame che ci stringono il collo e i fianchi: sono le bende a farci sacerdoti. Ricordo la giovane cieca dai capelli gialli sacrificata ai margini della torbiera. Fu un dono che gli dèi non apprezzarono. L'offerta è preferita viva, piena di danze, canti, pene d'amore e di sorrisi. Non fu apprezzata morta dentro la palude, coperta di graticci come un mantello di sposa. Perciò gli uomini furono dimenticati.
Oltre ai violini, scendono dalla montagna nuvole basse, pesanti di pioggia irresoluta, e con fatica scavalcano gli alberi dalle chiome panciute quasi estive che si stendono attraverso il Solstizio e sono sentieri verdi tra i mondi e le stagioni, strade in cui perdersi con la grazia svagata delle lucciole per mutare allitterando con il Tempo in labiali ed occlusive come baci.

Grigio d'ombra chiara. Non desidero parlare al tuo posto nell'assemblea di coloro che accarezzano i fili d'erba chiedendo consiglio: io incido rune su bacchette di faggio e di nocciolo e mi lascio spettinare dai rami penduli, pungenti come falci di Luna quando il Sole tramonta e Lei è lì, trasparente nella luce cedevole del giorno, e non lo può toccare e inappagata trafigge il sudario del cielo generando stelle indispettite.

Piccola Vita, parli di numerosi Altrove e non ti voglio distrarre - mi piace la tua voce sussurrante e ventosa. Capisco il tuo dondolare sul limite dei temporali perché siano in pochi a raccoglierti, così porto con me ciotole di creta cotte nelle buche di terra grassa e soffocate con la paglia dell'anno nuovo perché tu possa caderci dentro aggrappata ai tuoi segreti, almeno alcuni. Poi sarai Tu a condurmi nella vasta sala illuminata dai fuochi di maggio da cui sento giungere l'eco smorzato di un banchetto, mi verserai da bere e siederemo vicine come vecchie amiche, a raccontarci i fili silenziosi tessuti dagli anni, un po' ubriache.

Un piccolo messaggero maltrattato scende a scuotere le ali trasparenti accanto ai miei polsi. Chiede miele per il viaggio di ritorno. Ne ho di tarassaco odoroso ed è felice di muovere le zampe filiformi sugli occhi che volgono in cerchio sul passato e sul futuro. Riposa un po', se vuoi. Ho mani morbide come lenzuola e calde come il giorno che decisi di guardare oltre lo sguardo del mondo e il mondo si aprì. Vedo lontano. Non mi disturbi. Racconta.


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